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Intervista ai Nuju

6 Giu
Circolo Quarto Stato.
18 Maggio 2013.
Davanti a me dei novelli Ulisse partiti dalla loro Itaca, immersi in una meravigliosa Odissea musicale e pronti a raccontarmi le loro surreali gesta.
 

 

 

1 – Il vostro nome è “Nuju”, quattro lettere e un suono molto diretto il cui significato è ben preciso. “Nuju” significa “nessuno” riprendendo il dialetto della bassa Calabria. Come mai questa scelta?

Marco: Noi siamo dei viaggiatori. Anni fa abbiamo lasciato la nostra terra, la Calabria, chi per studiare e chi per lavorare. Ci siamo sempre identificati col viaggio di Ulisse: chi viaggia come Ulisse, quando è a Itaca vuole scappare via, quando è fuori da Itaca vuole rientrare. Riconoscendoci fortemente in questo concetto, abbiamo deciso di chiamarci “Nessuno” in onore di questo eroe epico, e riprendendo il dialetto della bassa Calabria, abbiamo scelto di chiamarci“Nuju” in quanto suonava bene (nel dialetto dell’alta Calabria era “nuddu” e fonicamente non ci piaceva molto). Insieme a questo ci sono altri significati, quello più importante è quello della collettività, cioè “nuju” essendo nessuno, vuol dire che nessuno di noi è realmente nessuno, un po’ come Pirandello in “Uno, nessuno e centomila”, tutti noi siamo uno, nessuno e centomila cose allo stesso tempo.

Licius: “Nessuno” sarebbe inoltre l’antitesi dell’individualismo sul quale è basata la società attuale, tutti quanti vogliono essere qualcuno, tutti vogliono andare in tv per farsi riconoscere. Viviamo in un individualismo imperante. Questa valenza del nome “nessuno” è proprio per andare contro alla voglia imperante di essere qualcuno a tutti i costi.

Fabrizio: Da un punto di vista musicale invece la scelta del nome significa il non avere bandiera e genere, vogliamo fare tutto e niente, nessuna presunzione di sbandierare un movimento, un genere musicale ben preciso, ma vogliamo fare tutto quello che ci viene in mente senza essere circoscritti a un genere particolare.

2 – Le copertine dei vostri tre dischi, se viste in sequenza, possono essere considerate come una sorta di stop-motion. La copertina del primo disco infatti rappresenta un omino funambolo, nel secondo lo stesso omino cade e dondola aggrappato al filo, mentre nel terzo si abbandona lanciandosi nel vuoto. Che messaggio metaforico sta dietro a questa scelta?

Fabrizio: Ci fa molto piacere che tu l’abbia notato. Abbiamo voluto realizzare una trilogia musicale e il quarto disco probabilmente potrebbe non c’entrare nulla con quello che è stato fatto finora. I tre dischi sono dei concept line, ossia ognuno ha una tematica ben precisa. Nel primo disco, dove c’è un funambolo che cammina in equilibrio, la tematica è la precarietà, nel secondo, “Atto Secondo”, la tematica è la frenesia, qui l’omino perde l’equilibrio, si corre cercando di starci dentro a tutti i costi, nel terzo disco, “Terzo Mondo”, mi è piaciuto come hai descritto l’omino che “si abbandona”, è un messaggio infatti che si presta a diverse interpretazioni, la tematica qui è l’indignazione. All’inizio del 2012 al telegiornale si impiccavano due o tre persone al giorno, a un certo punto hanno smesso di dirlo, ma non credo che la gente abbia smesso di impiccarsi. Indignazione è intesa anche come esasperazione che ti fa perdere la forza di restare attaccato al filo.

Per ridere in passato ci siamo detti che questo omino potrebbe riapparire magicamente con un palloncino che vola.

Marco: Noi siamo tutti dei trentenni che quando abbiamo iniziato a suonare insieme nel 2009 avevamo tante cose da dire, per questo abbiamo corso molto, abbiamo fatto tre dischi in tre anni. Abbiamo voluto esprimere quello che viviamo tutti i giorni. Se tu vai a vedere gli anni 2010, 2011, 2012, la precarietà, la frenesia e l’indignazione sono un po’ quello che c’era e c’è intorno a noi nella società e abbiamo cercato di raccontarlo non con tristezza o con eccessiva rabbia, ma con quella sana ironia che ci contraddistingue.

3 – Leggendo i vostri testi si scorge una forte ricercatezza. Quanto la letteratura è importante e fonte d’ispirazione per la vostra musica?

Licius: Sicuramente i riferimenti letterari sono molto radicati nell’inconscio, quello che noi però facciamo è di essere piuttosto presenti nel quotidiano.

Marco: Alcune volte nei nostri testi ci sono dei riferimenti non soltanto letterari, ma anche cinematografici. Spesso ci definiamo comico-drammatici come i film di Monicelli, oppure “Brutti, sporchi e cattivi” come i film di Ettore Scola, i film ci influenzano molto di più dei libri. Il riferimento però più forte è quello della letteratura che, come ha detto Licius, viviamo quotidianamente ogni giorno.

4 – Nella canzone “In assenza di gravità” trattate il tema della fuga dei giovani da un paese che sta diventando sempre più stagnante. Come vedete l’Italia attuale, sta diventando davvero un 3° Mondo?

Fabrizio: Noi una prima fuga l’abbiamo già fatta, la fuga dalla Calabria. È vero che se uno vuole realizzarsi, fare un percorso di studi, di formazione e poi trovare un lavoro nel settore inerente a quello che ha studiato, spesso gli tocca spostarsi perché qui in Italia non c’è la possibilità di trovare occupazione.

Marco: Noi abbiamo scelto di partire per studiare, di rimanere qualcuno l’ha scelto, qualcun altro è stato costretto,

5 – Ci sono dei cantautori particolari che hanno influenzato la nascita della vostra musica?

Marco: Quando abbiamo iniziato il nostro progetto musicale ci siamo detti che non avremmo mai dato nessun riferimento musicale alla nostra musica, però un nome che abbiamo sempre fatto è quello di Rino Gaetano per il discorso che lui non ha mai avuto un genere stabilito come cantautore, non era come Guccini o De Andrè che sapevi quello che facevano, ma poteva cambiare in ogni disco e ha cambiato quasi in ogni disco. La sua musica era impregnata di fervida ironia.

Licius: C’è da dire inoltre che ognuno di noi ascolta generi di musica molto diversi. Credo sia questo il trucco per creare una buona band, in furgone non ascoltiamo mai musica perché altrimenti finiremmo a tirarci i capelli tutti quanti.

6 – Nella canzone “Disegnerò” è presente questa frase: “E più si cresce, mi rincresce peggio per te se non credi alle mie favole”. Quanto è importante secondo voi riuscire a mantenere nel quotidiano quella visione immaginaria, incantata e fiabesca che, appunto, più si cresce e più si rischia di abbandonare?

Fabrizio: Siamo tutti dei ragazzi dentro, siamo tutti dei fanciulli e abbiamo l’animo giocoso.

Abbiamo un lavoro più o meno serio e delle grandi responsabilità, qualcuno di noi infatti è già papà, e queste son tutte cose che ci hanno fatto crescere. Il progetto “Nuju”, al di là di una necessità espressiva e artistica, è il contenitore dove ognuno ci mette del suo, è una dimensione che ci permette di conservarci giovani. Io lavoro con gli adolescenti e mi rendo conto ogni giorno di quanto sia importante non dimenticare di come siano le cose viste da piccoli, “noi siamo…”, come disse Freud, mi pare, “…il fanciullo che è in noi”.

Il problema è che crescendo l’uomo viene risucchiato dalla quotidianità del sistema e si fa sempre più fatica a meravigliarsi di ciò che ci sta attorno.

Marco: Credo che la chiave per mantenere viva questa meraviglia, sia la capacità di riuscire a stupirsi per qualsiasi cosa e guardare la quotidianità con uno sguardo costantemente nuovo.

The Mama Bluegrass Band @Nidaba Theatre (15 Dicembre 2012)

21 Dic

Sabato 15 dicembre. Milano, zona Navigli. Via Gola, 12. È una di quelle sere dove il gelo ti si conficca nella testa e le dita delle mani fanno fatica a muoversi. Apro la porta del locale. Nidaba Theatre, prima volta. Rimango affascinata dal posto. Un locale dalle pareti che diffondono vita vissuta, tappezzate di locandine di grandi annate. Sul muro del palco primeggia quella di Tom Waits dagli occhi che guardano giù. Un giù dove ora sono riposti, in attesa di essere svegliati, gli strumenti del gruppo che sto per andare a intervistare. The Mama Bluegrass Band. Ci dirigiamo nello scantinato del locale. Ed ecco che la danza verbale ha inizio.

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– Già nel nome del vostro gruppo “the Mama Bluegrass Band” è possibile capire il genere che fate. Il bluegrass ha fondamentalmente quattro pilastri: il blues, il brother duet, la musica irlandese e il white gospel. Nella vostra musica primeggia particolarmente uno di questi quattro generi o vi sono presenti tutti in egual modo?

Francis: La cosa che ci piace del nostro gruppo è di non essere “straight”. Ognuno di noi infatti ascolta molteplici tipologie di musica, ognuno ha i propri gusti e questo si riflette molto sulla musica che facciamo. Tutte le nostre influenze musicali conducono al folk.

Marco: Non siamo dei seguaci di cultura unicamente bluegrass. Quando suoniamo sul palco vi è una miscellanea di influenze che arriva da mondi completamente diversi.

– Ho visto che nei vostri tre dischi riprendete canzoni diventate epocali di Johnny Cash e Pete Seeger, attualmente ci sono artisti secondo voi che meritano particolare attenzione?

Francis: Oggi abbiamo diversi validi artisti, come possono essere Ben Harper, Norah Jones, mi chiedo però se tra cinquant’anni ce ne ricorderemo come ci ricordiamo oggi dei Beatles o dei Rolling Stones. Abbiamo oggi tanti gruppi, ma sono tanti gruppi leggeri. Fondamentalmente è questo il problema. È anche bello però che ci sia sempre più gente che faccia musica.

Marco: C’è anche da dire però che molti gruppi vengono scoperti solo dopo. Negli anni ’70 erano in pochi a comprarsi un cd di Tom Waits, mentre adesso ce l’hanno in casa quasi tutti quelli che fanno musica. Le cose vengono spesso scoperte a distanza di vent’anni. Magari adesso c’è qualcuno che noi non conosciamo o che noi sottovalutiamo, e tra vent’anni verrà fuori che era un genio che ha cambiato la storia della musica. Rino Gaetano è stato sottovalutato fino a metà degli anni ’90 mentre ora è stato molto riconsiderato. Le cose vengono fuori dopo. L’importante è che ci sia fermento, che ci siano posti dove suonare, locali, musica nuova e dischi. Bisogna continuare a far crescere la musica. Bisognerebbe riuscire a creare un substrato di cultura musicale sul quale far crescere le giovani band. Altrimenti, senza una solida base, quello che ne viene fuori è un singolo che può far anche successo, ma che finirà sicuramente nel dimenticatoio.

– A proposito di “continuare a far crescere la musica”, in Italia secondo voi c’è un freno nei confronti della musica o, al contrario, sentite una propensione a incentivarla?

Davide: C’è una situazione che non funziona. A Milano, il Nidaba Theatre e altri due o tre locali organizzano spesso concerti interessanti, anche all“l’Una e trentacinque” a Cantù c’è spesso molto fermento, ma purtroppo questo tipo di locali li conti sulle dita di una mano. Quando vuoi sentire buona musica hai unicamente quei tre o quattro posti dove andare. In estate per fortuna quasi tutte le sere ci sono manifestazioni all’aperto, tendoni e feste, ma per tutto il resto dell’anno non c’è quasi nulla. È tutto da rifare.

– Il titolo del vostro primo disco “Beer, boots and cigarettes” fa venire in mente i precetti di una vita vissuta “on the road”. Avete mai fatto viaggi per scoprire la tradizione che cantate?

Davide: I veri viaggi sono quelli dei tour. Il “Beer Boots and Cigarettes” lo avverti quando devi viaggiare per un tot di chilometri insieme. Abbiamo fatto diversi tour (in Norvegia, nelle Marche etc.) ed è proprio in quelle occasioni che lo si sente. Alberto è il massimo rappresentante del “Beer, boots and cigarettes”, quando partiamo fuma, guida e fa dieci km con un litro di gasolio fumando infiniti pacchetti di Marlboro.

-Ho visto un vostro video su youtube che iniziava con una scena del film “Per qualche dollaro in più”. Quanto il cinema ha influenzato il genere di musica che fate?

Alberto:  Sicuramente ha influenzato, ma più che la musica che facciamo, ha influenzato lo stile di vita da cazzari che abbiamo. A volte si sale in macchina per andare a suonare e ci sembra di essere catapultati, all’improvviso, in un film di Tarantino.

Marco: …nelle migliori ipotesi è un film di Tarantino, in quelle più reali in uno di Bud Spancer o di Monicelli degli anni ’70.

Francis:  Siamo così attaccati a quello che ascoltiamo e a quello che vediamo che inevitabilmente tutto ciò diventa parte fondamentale del modo di comunicare tra di noi. Il cinema non influenza tanto la nostra musica, ma influenza il nostro legame. L’influenza sulle nostre canzoni dipende più che altro dai gusti musicali che ognuno di noi ha.

– Qual è il momento migliore della giornata per ascoltare la vostra musica?

Senza ombra di dubbio quando si è in viaggio.

– Ultima domanda: Siete “folk” anche nella vita quotidiana? Con “Essere folk” intendo il vivere una vita vissuta in toto.

Davide:  Credo che ogni genere di musica abbia delle influenze sul modo di vivere che si ha. Se, per esempio, suoni blues tendi ad avere una concezione della vita particolarmente triste, se invece sei folk, te ne fotti di tutte le avversità che si incontrano ogni giorno e ci ridi sopra, fai il liscio e te le fai scivolare via.

Intervista “On the road” ai Baciamolemani

2 Set

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6 Agosto 2011. Barceloneta, Busker’s Festival.

E’ una di quelle sere d’estate dove i valzer di vento sono un bramato miraggio, sere dove le tue mani già alle sei di sera tengono in alto, con gloria e felicità, bicchieri di sangria dall’aspetto irresistibile e dove affascinanti lucciole volteggiano nei cerchi della sera a una velocità incontrollabile per i tuoi occhi. 

Mi ritrovo seduta su dei gradoni a gambe incrociate ad ascoltare la storia di un gruppo della scena musicale siciliana, i Baciamolemani, un gruppo che mastica rumbe e danze tropicali in grado di farti danzare, volteggiare ed accomodare in questo loro spettacolo d’arte varia.

 Ecco la loro storia.

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Ho letto diverse vostre interviste e ho notato che in tutte vi considerate come una vera e propria famiglia. Com’è nata questa “famiglia” BLM, e quanto, questa forte condivisione tra di voi, può essere importante per fare arrivare in modo più forte e diretto al pubblico la vostra musica?

Marco: “Baciamolemani” è un progetto che è nato da delle chitarre e da delle percussioni e man mano sta crescendo sempre più.

Nasce cinque anni fa da un piccolo progetto dove inizialmente riproponevamo pezzi dei Bandabardò e in seguito, coscienti del fatto che era bello fare un genere fresco e allegro in un ambiente underground siciliano in cui era molto difficile trovare musica del genere, abbiamo deciso di iniziare a creare della musica nostra, senza copiare altri.

Lo definiamo come una “famiglia” perché è costituito da nove elementi e continua a crescere, non ci facciamo limiti sotto questo punto di vista, in quanto più componenti abbiamo e più possiamo apprendere gli uni dagli altri.

È una famiglia dove ogni giorno ci si incazza, si litiga, ci si abbraccia e ci si vuole sempre e comunque bene. Questa forte unione è in realtà la nostra forza e in un live la si può cogliere dall’armonia che si riesce a creare. Credo che dei “singoli” messi in un progetto non faranno mai amalgama, molti gruppi nonostante siano armati di buone intenzioni, specialmente da un punto di vista tecnico musicale, hanno proprio carenza di questa unione.

Tutte le vostre canzoni sprigionano una forte voglia di far festa e di leggerezza. Siete così anche quando siete giù dal palco?

Marco: Il palco ti permette di amplificare ciò che già sei, ma non di storpiarti completamente, non funziona e non funzionerebbe anche per il gruppo stesso.

Quando siamo in scena non indossiamo maschere, si instaura più che altro un’esaltazione di quello che già siamo noi (nel nostro caso dei personaggi già totalmente pazzi). Quello che si vede sul palco è quindi quello che fondamentalmente siamo, con un pizzico di energia in più.

So che avete avuto diverse collaborazioni teatrali in Belgio con Danilo Schininà e Marcello Perracchio, il quale compare anche come attore nell’ultimo videoclip “La corriera”. Che importanza ha la teatralità nei vostri spettacoli?

Andrea: La teatralità nei nostri spettacoli è fondamentale in quanto la nostra intenzione è quella di coinvolgere senza aspettarsi necessariamente di essere ascoltati.

Chiaramente il teatro è una situazione completamente diversa dove vengono rispettati dei canoni di attenzione molto profondi rispetto a quello che può essere un concerto, però sicuramente queste collaborazioni con Schininà e Perracchio sono state delle esperienze che ci hanno aiutato ad avvicinarci ancora di più alla gente anche in una condizione ancora più profonda dal punto di vista dell’ascolto e dell’attenzione.

Ho saputo che è la prima volta che partecipate a un festival di artisti di strada, cosa vi ha dato questa esperienza?

Marco: Sinceramente all’inizio avevamo un pò di paura perché, abituati ad avere una piattaforma con dei microfoni, delle casse e la gente sotto il palco, stare in una piazza su un marciapiede era un’esperienza che non avevamo mai provato. Essendo però pronti alle sfide, appena è arrivata la chiamata dalla Spagna per partecipare a questo festival buskers, la paura ha aumentato ancora di più la nostra motivazione a fare uno spettacolo diverso, cioè uno spettacolo di strada, così, poche prove in sala prove, siamo andati subito a testarlo in piazza a Ragusa (è stata una domenica), abbiamo preso le macchine e siamo andati dritta là, senza preavviso senza niente, per avere un primo riscontro a freddo. Quella domenica abbiamo capito che questo tipo di spettacolo potrebbe essere una nuova dimensione, potrebbe essere una strada parallela grande quanto un live su un palco.

Ora che siamo qui a Barcellona e il festival è già iniziato da qualche giorno, ci stiamo rendendo conto che approcciarci a questa dimensione è una bella soddisfazione e sinceramente ci stiamo prendendo davvero molto gusto.

Durante la vostra esperienza in Spagna avete conosciuto e suonato con il gruppo spagnolo “La Pegatina”. Quanto è stato importante questo incontro per la vostra formazione musicale?

Andrea: Direi che è stato un incontro davvero molto importante. Quando gli abbiamo mandato il pezzo mancante della prima parte del nostro brano “La Corriera”, loro non solo hanno aggiunto grande energia, ma sono riusciti a entrare perfettamente nello spirito, facendoci positivamente meravigliare, perché riuscire a entrare artisticamente appieno voleva dire che avevamo davvero qualcosa in comune.

Per questo è una canzone a cui teniamo, non è semplicemente una collaborazione fatta per mettere un nome piuttosto che un altro, ma c’è stata un’unione di intenti sia a livello artistico che a livello umano.

La Pegatina ci ha insegnato una cosa molto importante, cioè quella di riuscire a interpretare musicalmente i tempi in cui viviamo. In Italia infatti, da molti punti di vista, siamo rimasti parecchio indietro. Anche da loro in Spagna c’è una casta musicale che prende il sopravvento, ma la Pegatina è riuscita a trovare un modo molto semplice di utilizzare i mezzi moderni di comunicazione, come può essere il download gratuito del cd, senza aspettare che ti arrivi una casa discografica a pregarti, in quanto queste sono cose che non esistono più.

Io personalmente credo che la musica sia nata senza dischi e quando i dischi moriranno la musica continuerà ad esistere anche senza il mercato, ecco, tutto qui, loro ci hanno insegnato questo.

Come vi siete conosciuti con la Pegatina?

Marco: E’ un po’ imbarazzante questa domanda. Eravamo in Spagna per la prima volta a fare un concerto, finito il concerto eravamo completamente “borrachi” e proprio in quel momento arriva il cantante della Pegatina che ci ha visto, prende il suo cd e lo dà al nostro cantante (Davide), che gli dà una pacca sulla spalla, ride e lo saluta (non sapendo assolutamente che cosa avesse in tasca). Il giorno dopo ci svegliamo, mettiamo su il disco, apriamo la copertina e iniziamo a leggere un elenco di collaborazioni con cantanti internazionali come Manu Chao e un elenco di tournè mondiali che questi personaggi avevano alle spalle, alchè abbiamo preso l’email e li abbiamo contattati. In pratica avevamo accanto gente che stava già molto più avanti di noi e Davide invece, con una pacca sulla spalla, li stava quasi senza accorgersene liquidando.

E’ successo quindi tutto per puro caso, loro con molta umiltà si sono avvicinati e hanno dato questo cd per il piacere di farcelo ascoltare. Da qui abbiamo stretto un bellissimo rapporto di condivisione.

Con questa esperienza spagnola avete riscontrato delle diversità tra l’Italia e la Spagna a livello musicale?

Andrea: La sensazione è che in Spagna ci sia un po’ più di spazio per i gruppi emergenti. In Italia, osservando da esterno, da spettatore, questa situazione la si è vissuta magari molto negli anni ’90. Qua in Spagna è come se si stesse vivendo una sorta di “primavera musicale”, ci sono molti gruppi (come appunto la Pegatina) che sono consorziati tra di loro, collaborano e si danno una mano, in Italia questo non succede, in Italia in campo artistico c’è davvero troppa concorrenza.

Della scena musicale italiana avete gruppi o cantautori a cui vi ispirate?

Andrea: Noi amiamo i cantautori.

Penso che la più grande virtù dei cantautori sia quella di raccontare le esperienze della vita, il percorso di De Andrè per esempio (per fare un grande nome) non è altro che il percorso di un uomo. A me personalmente non piace vedere persone che a cinquant’anni fanno le stesse cose che facevano quando ne avevano venti, sempre per le persone di vent’anni, quindi quello che noi raccontiamo nelle nostre canzoni non sono altro che il succo delle nostre piccole esperienze, senza passare per i massimi sistemi.

La nostra speranza è quella di crescere sia umanamente che artisticamente.

Guardando il vostro sito ho apprezzato molto che avete messo la possibilità di scaricare i vostri cd gratuitamente. Mi volete spiegare questa politica?

Marco: Il nostro obiettivo è quello di sensibilizzare le persone al discorso del disco.

Si è parlato che ormai di dischi non se ne vendono più, quindi bisogna cambiare il modo di approcciarsi al pubblico. Se una persona vuole scaricare un album lo farà. Noi durante i concerti abbiamo una bancarella dove vendiamo i nostri cd, premettendo comunque che è possibile scaricare il nostro disco. L’obiettivo è quello di sensibilizzare le gente alla consapevolezza che comprare un disco significa dare un aiuto a quello che si è appena visto e a quello che è piaciuto (se è piaciuto). Questa politica del download gratuito (che è una novità che abbiamo assimilato dalla Pegatina) in Sicilia ha suscitato notevole scalpore in quanto cosa nuova e d’impatto, e da ciò siamo orgogliosi di poter dare il “La” per un nuovo modo di diffondere la musica, che deve essere accessibile a tutti.

Riprendendo una delle vostre canzoni, vorrei sapere quanto vi definite “Ruffiani” da uno a dieci.

Marco: undici.

E per concludere, una frase d’effetto che crei perplessità e gelo per un finale alla Marzullo?

Andrea: ma la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?

-Fin-